Perchè vivo?

Un monaco itinerante, un giorno arrivò presso un villaggio e vide un uomo che lavorava, con molta fatica alla costruzione di un muro. Il monaco si fermò a guardarlo e poi gli domandò con gentilezza:  “Che fai?” L'uomo rispose: “Lavoro dalla mattina alla sera: tutti i giorni… dalla mattina alla sera…per pochi soldi”. Il monaco gli chiese allora: “E perché lavori tutti i giorni dalla mattina alla sera per pochi soldi?” L’uomo rispose:“Per guadagnare qualcosa.” “E perché vuoi guadagnare?” - tornò a chiedere il monaco.“Per vivere”. “E perché vivi?” Gli chiese sorridendo il monaco, ma l'uomo non seppe rispondere.

Qui finisce l'annedoto ma la domanda è sempre attuale:

PERCHE' VIVI?

Mi sono varie volte posta questa domanda e, a seconda del momento in cui me la sono posta, aveva una risposta: per evolvere, per essere felice, per guadagnarmi il paradiso, per punizione, per karma….. insomma le risposte più svariate che provenivano dai più svariati indottrinamenti acquisiti.

Oggi mi sto chiedendo invece se il nostro fine – di esseri umani intendo -  non sia quello di imparare a gestire l’apparato psicofisico con cui ci identifichiamo e che abbiamo preso in consegna alla nascita.

Le religioni sono state – e per molti sono ancora – un mezzo per assumerne, seppure superficialmente, il controllo, in modo però da restare sempre sottomessi alle forze “divine” che ci controllano e ci usano.

L’apparato psicofisico è soggetto a influenze esterne che lo gestiscono a loro piacimento (parassiti alieni e potere) agendo sull’emotività che è il punto debole del nostro apparato psicofisico, dovuto allo squilibrio dei due emisferi – ovvero al prevalere delle reazioni limbiche rispetto a quelle neocorticali.

Per ricondurre l’apparato psicofisico all’obbedienza, ovvero per assumerne il completo controllo, dobbiamo avere il controllo delle nostre risposte alle sollecitazioni esterne che per ora, data la nostra “assenza” (ovvero l’addormentamento ipnotico della coscienza) è completamente manipolabile e manipolata.

L’apparato psicofisico è l’equivalente di uno strumento per un musicista. Dobbiamo imparare a suonarlo. Ma noi, che dobbiamo imparare a suonarlo, da quale dimensione operiamo e soprattutto chi siamo? Siamo anche noi a nostra volta lo strumento di qualcun altro? Bravi tecnici che vengono addestrati a controllare lo strumento che ci è stato affidato per farlo suonare secondo la volontà di chi ci sta addestrando? Oppure siamo noi stessi che ci stiamo addestrando a suonare il nostro strumento per non lasciarlo più in balia di altri? Ma di quale “noi stessi” stiamo parlando?.....

m.m.